di GBuffatti
Mi è capitato a volte di
confrontarmi con tecnici della ristorazione che sostengono che per servire un
piatto pronto al ristorante o al bar prima bisogna garantire il raggiungimento
di almeno 85°C al cuore del prodotto stesso.
Sarebbe interessante aprire un
dibattito sull’argomento visto che non sono assolutamente in accordo con questa
linea di pensiero … specifico che intendo piatto pronto tutto quello che è
confezionato pronto all’uso dopo riattivazione al microonde, padella o al forno
tradizionale
Questo perché: per quanto riguarda il prodotto se dovessi
servire un piatto a 85/90°C rischierei di ustionare il palato del consumatore e
per di più molti prodotti sarebbero rovinati da un punto di vista gastronomico.
Ma soprattutto per quanto riguarda la temperatura minima da raggiungere a cuore
del prodotto, non mi risulta che esistano normative che indichino
specificamente limiti minimi di temperatura; penso che nel momento in cui,
con la corretta applicazione delle procedure HACCP, sia dimostrato che il consumatore
non viene esposto a rischi non mi sembra di vedere gli estremi per
contestazioni di sorta.
Decreto del Presidente della
Repubblica n° 327 del 26/03/1980 all’art. 31 parla di “…. alimenti deperibili con copertura, o farciti con panna e crema a
base di uova e latte (crema pasticciera), yogurt nei vari tipi, bibite a base
di latte non sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina
alimentare, che devono essere conservati a temperatura non superiore a +4
gradi C. e di alimenti deperibili cotti da consumarsi caldi (quali: piatti
pronti, snacks, polli, etc.) che devono essere conservati da + 60 gradi C a
+ 65 gradi C.” mentre “gli
alimenti deperibili cotti da consumarsi freddi (quali: arrosti, roast-beef,
etc.), e le paste alimentari fresche con ripieno devono essere conservati a
temperatura non superiore a +10 gradi C.” e non fa riferimento a
temperature di rigenerazione con trattamento termico (ne tantomeno con forni a
microonde che forse al tempo neanche esistevano).
Per quanto riguarda la
temperatura delle sostanze alimentari durante il trasporto, l’ Art. 51 riporta:
”Il trasporto delle sostanze alimentari
di cui all’allegato C deve essere effettuato con modalità atte a garantire il
mantenimento delle condizioni di temperatura fissate nell'allegato stesso”,
con riferimento a latte e latticini, carni, prodotti ittici, comunque con
temperature di trasporto per le carni di + 7°C, con una tolleranza fino a + 10°C
(allegato C parte II).
Più recentemente il Regolamento (ce) n.
852/2004 del Parlamento Europeo e del consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene
dei prodotti alimentari al “CAPITOLO IX - Requisiti applicabili ai prodotti
alimentari” al punto 5. Riporta: “le
materie prime, gli ingredienti, i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado
di consentire la crescita di microrganismi patogeni o la formazione di tossine
non devono essere conservati a temperature che potrebbero comportare rischi
per la salute. La catena del freddo non deve essere interrotta. È
tuttavia permesso derogare al controllo della temperatura per periodi
limitati, qualora ciò sia necessario per motivi di praticità durante la
preparazione, il trasporto, l’immagazzinamento, l’esposizione e la fornitura, purché
ciò non comporti un rischio per la salute.”
Evidentemente non c’è un
riferimento a temperature specifiche ma, è implicito, alle temperature
conosciute come tali da non permettere la crescita microbica (e qui
possiamo far riferimento al 327/80).
Lo stesso Regolamento (ce) n.
852/2004 al CAPITOLO XI - Trattamento
termico riporta “I seguenti requisiti si applicano solo agli alimenti
immessi sul mercato in contenitori ermeticamente chiusi.
1. Qualsiasi procedimento di trattamento
termico per la trasformazione di un prodotto non trasformato o per la
trasformazione ulteriore di un prodotto trasformato
deve:
a) innalzare ogni parte del prodotto
sottoposto al trattamento a una determinata temperatura per un determinato
periodo di tempo; (ma non specifica quali)
b) impedire che il prodotto subisca
contaminazioni nel corso del processo.
2. Al fine di garantire che il
procedimento usato raggiunga gli obiettivi ricercati, gli operatori del settore
alimentare devono controllare regolarmente i principali parametri
pertinenti (in particolare la temperatura, la pressione, la sigillatura
e le caratteristiche microbiologiche), anche ricorrendo ad apparecchiature
automatiche.
3. I procedimenti utilizzati
devono essere conformi alle norme riconosciute a livello internazionale
(ad esempio, la pastorizzazione, il procedimento UHT o la
sterilizzazione).”
Anche in questo caso non c’è
riferimento a temperature specifiche ma implicitamente rimanda alla corretta
gestione delle procedure HACCP; infatti lo stesso Regolamento 852/04 al
CAPO II - Obblighi degli operatori del settore alimentare all’articolo 3
riporta: “gli operatori del settore
alimentare garantiscono che tutte le fasi della produzione, della trasformazione
e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i
pertinenti requisiti di igiene fissati nel presente regolamento” .
Nella fattispecie la tipologia di
lavorazione “a monte” è una classica produzione di prodotti di gastronomia
confezionati in atmosfera protettiva, conservati e trasportati verso un punto
di somministrazione diretto, cioè con passaggio interno senza effettuare una
cessione a terzi del prodotto stesso; quindi non è necessario il
“riconoscimento” dell’azienda produttrice (bollo CEE), come previsto dal
Decreto Regionale del Veneto n. 140 del
5 marzo 2008 (questo almeno per quello che riguarda l’ambito della provincia di
Verona e delle provincie contermini).
Evidentemente è assolutamente
necessario attuare correttamente le procedure HACCP per quanto riguarda la
produzione fino al trasporto ai punti di somministrazione (con particolare
attenzione alle procedure di cottura, abbattimento della temperatura,
pastorizzazione, atmosfera controllata, analisi di laboratorio sul prodotto
finito, temperature e tempi di trasporto).
Allo stato attuale le procedure
predisposte sono tali (nella convinzione che vengano mantenute) da poter
dichiarare una corretta gestione dell’HACCP. Le procedure “a valle”, cioè
ricevimento, stoccaggio (conservazione) e rigenerazione dei prodotti finiti
dovranno essere inseriti nelle procedure HACCP esistenti presso i punti di
somministrazione. La fase di
rigenerazione del prodotto finito, può essere considerata una rigenerazione
senza esposizione per la vendita (si passa dalla catena del freddo direttamente
al piatto servito senza tempi di esposizione/conservazione in espositori
termici), quindi è un “condizionamento ai fini del consumo” (equivalente alla
rigenerazione di roastbeef, panini, toast, piadine, piatti pronti surgelati ),
come avviene in moltissimi punti di somministrazione (i vari bar in
particolare). Sarà importante nella procedura “a valle” sottolineare che il
breve tempo previsto per la rigenerazione in forno a microonde mantiene eventuali
cariche microbiche praticamente ferme,
cioè in Fase di latenza, in cui la
crescita è quasi nulla, comunque tale da non raggiungere livelli di rischio (e
qui è importante dimostrare la presenza microbica praticamente nulle attraverso
i risultati delle analisi di laboratorio anche sul prodotto dopo rigenerazione
in microonde).
A disposizione per un confronto
G.B.
buffatti@tecnologoalimentare.it