03 agosto 2017

RIATTIVAZIONE PIATTI NEI RISTORANTI ...A QUALE TEMPERATURA ?


 di GBuffatti

Mi è capitato a volte di confrontarmi con tecnici della ristorazione che sostengono che per servire un piatto pronto al ristorante o al bar prima bisogna garantire il raggiungimento di almeno 85°C al cuore del prodotto stesso.

Sarebbe interessante aprire un dibattito sull’argomento visto che non sono assolutamente in accordo con questa linea di pensiero … specifico che intendo piatto pronto tutto quello che è confezionato pronto all’uso dopo riattivazione al microonde, padella o al forno tradizionale

 Questo perché:  per quanto riguarda il prodotto se dovessi servire un piatto a 85/90°C rischierei di ustionare il palato del consumatore e per di più molti prodotti sarebbero rovinati da un punto di vista gastronomico.

Ma soprattutto per quanto riguarda la temperatura minima da raggiungere a cuore del prodotto, non mi risulta che esistano normative che indichino specificamente limiti minimi di temperatura; penso che nel momento in cui, con la corretta applicazione delle procedure HACCP, sia dimostrato che il consumatore non viene esposto a rischi non mi sembra di vedere gli estremi per contestazioni di sorta.

 


In particolare, analizzando le varie normative possiamo valutare che il

Decreto del Presidente della Repubblica   n° 327  del 26/03/1980  all’art. 31 parla di “…. alimenti deperibili con copertura, o farciti con panna e crema a base di uova e latte (crema pasticciera), yogurt nei vari tipi, bibite a base di latte non sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina alimentare, che devono essere conservati a temperatura non superiore a +4 gradi C. e di alimenti deperibili cotti da consumarsi caldi (quali: piatti pronti, snacks, polli, etc.) che devono essere conservati da + 60 gradi C a + 65 gradi C.” mentre “gli alimenti deperibili cotti da consumarsi freddi (quali: arrosti, roast-beef, etc.), e le paste alimentari fresche con ripieno devono essere conservati a temperatura non superiore a +10 gradi C.” e non fa riferimento a temperature di rigenerazione con trattamento termico (ne tantomeno con forni a microonde che forse al tempo neanche esistevano).

Per quanto riguarda la temperatura delle sostanze alimentari durante il trasporto, l’ Art. 51 riporta: ”Il trasporto delle sostanze alimentari di cui all’allegato C deve essere effettuato con modalità atte a garantire il mantenimento delle condizioni di temperatura fissate nell'allegato stesso”, con riferimento a latte e latticini, carni, prodotti ittici, comunque con temperature di trasporto per le carni di + 7°C, con una tolleranza fino a + 10°C (allegato C parte II).

 Più recentemente il Regolamento (ce) n. 852/2004 del Parlamento Europeo e del consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari al “CAPITOLO IX - Requisiti applicabili ai prodotti alimentari” al punto 5. Riporta: “le materie prime, gli ingredienti, i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado di consentire la crescita di microrganismi patogeni o la formazione di tossine non devono essere conservati a temperature che potrebbero comportare rischi per la salute. La catena del freddo non deve essere interrotta. È tuttavia permesso derogare al controllo della temperatura per periodi limitati, qualora ciò sia necessario per motivi di praticità durante la preparazione, il trasporto, l’immagazzinamento, l’esposizione e la fornitura, purché ciò non comporti un rischio per la salute.”

Evidentemente non c’è un riferimento a temperature specifiche ma, è implicito, alle temperature conosciute come tali da non permettere la crescita microbica (e qui possiamo far riferimento al 327/80).

Lo stesso Regolamento (ce) n. 852/2004 al  CAPITOLO XI - Trattamento termico riporta “I seguenti requisiti si applicano solo agli alimenti immessi sul mercato in contenitori ermeticamente chiusi.

1. Qualsiasi procedimento di trattamento termico per la trasformazione di un prodotto non trasformato o per la trasformazione ulteriore di un prodotto trasformato

deve:

 a) innalzare ogni parte del prodotto sottoposto al trattamento a una determinata temperatura per un determinato periodo di tempo; (ma non specifica quali)

 b) impedire che il prodotto subisca contaminazioni nel corso del processo.

 

2. Al fine di garantire che il procedimento usato raggiunga gli obiettivi ricercati, gli operatori del settore alimentare devono controllare regolarmente i principali parametri pertinenti (in particolare la temperatura, la pressione, la sigillatura e le caratteristiche microbiologiche), anche ricorrendo ad apparecchiature automatiche.

3. I procedimenti utilizzati devono essere conformi alle norme riconosciute a livello internazionale (ad esempio, la pastorizzazione, il procedimento UHT o la sterilizzazione).” 

Anche in questo caso non c’è riferimento a temperature specifiche ma implicitamente rimanda alla corretta gestione delle procedure HACCP; infatti lo stesso Regolamento 852/04 al CAPO II - Obblighi degli operatori del settore alimentare all’articolo 3 riporta: “gli operatori del settore alimentare garantiscono che tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti sottoposte al loro controllo soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati nel presente regolamento” .

 

Nella fattispecie la tipologia di lavorazione “a monte” è una classica produzione di prodotti di gastronomia confezionati in atmosfera protettiva, conservati e trasportati verso un punto di somministrazione diretto, cioè con passaggio interno senza effettuare una cessione a terzi del prodotto stesso; quindi non è necessario il “riconoscimento” dell’azienda produttrice (bollo CEE), come previsto dal Decreto Regionale del Veneto n.  140 del 5 marzo 2008 (questo almeno per quello che riguarda l’ambito della provincia di Verona e delle provincie contermini). 

Evidentemente è assolutamente necessario attuare correttamente le procedure HACCP per quanto riguarda la produzione fino al trasporto ai punti di somministrazione (con particolare attenzione alle procedure di cottura, abbattimento della temperatura, pastorizzazione, atmosfera controllata, analisi di laboratorio sul prodotto finito, temperature e tempi di trasporto).

Allo stato attuale le procedure predisposte sono tali (nella convinzione che vengano mantenute) da poter dichiarare una corretta gestione dell’HACCP. Le procedure “a valle”, cioè ricevimento, stoccaggio (conservazione) e rigenerazione dei prodotti finiti dovranno essere inseriti nelle procedure HACCP esistenti presso i punti di somministrazione.  La fase di rigenerazione del prodotto finito, può essere considerata una rigenerazione senza esposizione per la vendita (si passa dalla catena del freddo direttamente al piatto servito senza tempi di esposizione/conservazione in espositori termici), quindi è un “condizionamento ai fini del consumo” (equivalente alla rigenerazione di roastbeef, panini, toast, piadine, piatti pronti surgelati ), come avviene in moltissimi punti di somministrazione (i vari bar in particolare). Sarà importante nella procedura “a valle” sottolineare che il breve tempo previsto per la rigenerazione in forno a microonde mantiene eventuali cariche microbiche  praticamente ferme, cioè  in Fase di latenza, in cui la crescita è quasi nulla, comunque tale da non raggiungere livelli di rischio (e qui è importante dimostrare la presenza microbica praticamente nulle attraverso i risultati delle analisi di laboratorio anche sul prodotto dopo rigenerazione in microonde). 

 

A disposizione per un confronto

 G.B.

buffatti@tecnologoalimentare.it